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Le 13 virtù di Franklin e il superamento dei propri limiti

ragazza che supera l'asticella nel salto in alto

Iniziare un nuovo cammino ci spaventa, ma dopo ogni passo ci rendiamo conto di quanto fosse pericoloso rimanere fermi” – Roberto Benigni

L’uomo come misura di tutti i limiti1.

L’uomo in tutti i tempi ha sempre cercato di sviluppare i propri talenti, progredire, singolarmente o all’interno di una comunità, migliorando se stesso e superando i propri limiti. Le 13 virtù di Franklin sono un esempio tra tanti.

Chi stabilisce quali sono questi limiti? Ci sono limiti fisici, contestuali, culturali, sociali, umani, ideali. L’uomo stesso conosce e costruisce i propri limiti. Attraverso l’attività di esplorazione egli costruisce una mappa del mondo che modifica con l’esperienza stessa. Il filosofo greco Protagora, in una sua celebre affermazione, notava che l’uomo è la misura di tutte le cose. Allora i limiti sono anche quelli introdotti dallo sguardo della persona e dalla direzione in cui guarda, e non solo quelli fisici del territorio.

Il genere umano ha sempre cercato di superare i propri limiti fisici, imparando ad esempio a volare con delle estensioni alla propria persona (deltaplano, aereo, etc.). E da sempre l’uomo ha cercato di superare i limiti imposti dal contesto e da una data comunità, e da egli stesso, dal suo carattere.

Un carattere o una personalità, o i geni, sono limiti che possono predire quello che una persona farà e dove arriverà?

Ci sono persone che sono partite con premesse caratteriali o sociali sfavorevoli alla propria realizzazione in un dato contesto storico-culturale. Tuttavia, la storia è piena di gente che, osservata in un dato momento della sua vita attraverso il suo status sociale e le sue prestazioni, non sarebbe stata riconosciuta da amici e parenti in un momento successivo della propria vita. Come, ad esempio, lo scrittore George Bernard Shaw, timido e timoroso in adolescenza, che divenne un ardito oratore, e i burberi Washington e Franklin, padri fondatori degli Stati Uniti, che addolcirono il loro carattere e divennero piacevolissime persone. E molti altri.

1.La frase è liberamente adattata da quella di Protagora “L’uomo è misura di tutte le cose”.

I limiti dati dagli altri: lascia perdere, non fa per te.

Un giorno un operaio napoletano, che desiderava tanto diventare un cantante, ricevette dal suo maestro di canto il responso sulle sue reali possibilità di riuscita. Non era portato e non aveva voce, a quanto pareva, e non sarebbe mai diventato un cantante. La sua voce assomigliava al vento che passa attraverso le imposte.

Il maestro di canto avrà ‘giustamente’ pensato “non è giusto dare false speranze alle persone e illuderle”. La madre invece abbracciava e lodava il ragazzino. Gli diceva che era sicura che avrebbe potuto fare il cantante, che aveva già fatto passi avanti, e si sacrificò per pagargli le lezioni.

Questa è una delle storie raccontate dal famoso formatore Dale Carnegie, che passò la vita aiutando gli altri a migliorare le proprie abilità sociali e la qualità della propria esistenza. Egli studiava le biografie dei personaggi influenti e famosi del passato, e intervistava quelli in vita. Cercava di capire come alcune persone riuscissero ad eccellere in qualche abilità.

Da una parte nella sua ricerca scoprì cosa facessero le persone abili socialmente. Dall’altra dimostrava come molte di loro avessero acquisito tali abilità, e che non le avessero sempre avute. Alla faccia della predizione che ci si aspetta dai test attitudinali sofisticati dei nostri tempi!

Una delle tante prove raccolte da Carnegie sulla incredibile capacità delle persone di sviluppare doti eccezionali dal nulla è la storia dello ‘stonato’ operaio napoletano citato sopra. Era Enrico Caruso, divenuto il più grande cantante d’opera del suo tempo.

Sui limiti che gli altri ci impongono, come aveva fatto il primo maestro di canto di Caruso, viene in mente il film del regista Gabriele Muccino Alla ricerca della felicità, con protagonista Will Smith. Il padre dice al figlio che non è portato per la pallacanestro, dato che lui stesso non è mai stato un granché. Poi sembra cambiare idea, vedendo il figlio rattristarsi: “Ehi! Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok? Se hai un sogno… tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa, lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto”.

Misurare i limiti delle persone: prevedibilità o profezia che si autorealizza?

Un’equipe guidata dal ricercatore americano Robert Rosenthal sottopose gli alunni di una classe ad un test di intelligenza. Poi selezionò in modo casuale un numero ristretto di bambini e comunicò agli insegnanti che si trattava dei più intelligenti, senza comunicare i veri risultati dei test.

Dopo un anno, Rosenthal tornò in quella classe e verificò che gli alunni scelti a caso avevano confermato le sue predizioni migliorando molto il loro rendimento scolastico fino a diventare i migliori della classe. L’effetto si verificò verosimilmente grazie all’influenza positiva degli insegnanti, che riuscirono a stimolare negli alunni selezionati passione e interesse per lo studio.

Questa è l’applicazione in ambito scolastico del principio noto in sociologia come la “profezia che si autoavvera”, cioè una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Anche in economia ci sono riscontri del principio: se c’è l’opinione diffusa che in un mercato finanziario ci sarà il crollo, gli investitori possono perdere fiducia e agire in modo da causare veramente tale crollo.

Pare che i test psicoattitudinali siano utilizzati generalmente nell’ambito della selezione del personale quali strumenti per prevedere il comportamento o le prestazioni delle persone, invece che essere considerati come una ‘misurazione’ di come un dato compito viene eseguito in un dato momento.

Se gli insegnanti avessero visto i veri test dei ‘migliori della classe’, infatti, avrebbero previsto per alcuni di loro dei risultati scolastici nella media o inferiori. Il fattore più forte nel prevedere le prestazioni, che emerge da questo esperimento, è l’idea che un insegnante ha di un dato alunno.

I limiti e la potenza delle abitudini: consuetudini da un milione di dollari.

In Abitudini da un milione di dollari, l’autore motivazionale e speaker canadese Brian Tracy parla di come si può perseguire successo nella vita. E lo fa prendendo come spunto le abitudini dei personaggi famosi che sono diventati milionari. Viene facilmente in mente come sia certamente molto più facile individuare queste abitudini che applicarle.

Sospendiamo per un attimo il giudizio se basti effettivamente impossessarsi di queste abitudini per diventare dei milionari. Una persona dovrebbe avere in ogni caso una forza di volontà e uno spirito di sacrificio fuori dalla norma. Ad esempio, è facile pensare per le persone di reddito medio che, oltre alla fortuna e alle raccomandazioni, per guadagnare di più si debba lavorare più duramente e assumersi dei rischi.

Poi però spesso molti di noi si rifiutano di lavorare al sabato o alla domenica o di fare gli straordinari, di accettare turni di lavoro scomodi, di prendersi responsabilità o aprire un’attività, rischiare il proprio capitale.

Tra i personaggi citati nel libro che si sono costruiti la loro ricchezza dal niente, oltre che migliorato il proprio carattere e le proprie abilità sociali, ci sono i padri fondatori degli Stati Uniti George Washington e Benjamin Franklyn.

Tracy afferma che per apprendere una nuova abitudine sono necessarie sette mosse. Prendere una decisione, non applicare eccezioni, comunicare in pubblico la decisione, visualizzare, usare un mantra, non mollare mai e premiarsi al raggiungimento dell’obiettivo.

Egli nota inoltre che siamo noi ad avere il controllo del nostro comportamento (che ne siamo consapevoli o no) attraverso le nostre abitudini. “Il fatto è che le buone abitudini sono difficili da costruire, ma è facile conviverci. Le cattive abitudini, al contrario, si acquisiscono facilmente ma è difficile conviverci. In un caso o nell’altro, acquisiamo buone o cattive abitudini in seguito alle nostre scelte, decisioni e comportamenti”.

George Washington e gli uomini ‘fatti da sé’.

George Washington, primo presidente degli Stati Uniti, era ammirato per la qualità del carattere, la gentilezza dei modi e la correttezza. Ma quando aveva iniziato la sua attività, Washington non era affatto così, e crebbe tra ben pochi agi. Pare che gli capitò in mano un libricino contenente “110 regole per un comportamento civile e decoroso in compagnia e nelle conversazioni”.

Egli copiò in un taccuino le regole e lo portò sempre con sé, rileggendolo costantemente e mettendolo in pratica nel corso della sua vita. Egli sviluppò le abitudini comportamentali e le maniere relative all’uomo che avrebbe voluto essere. E lo divenne, tanto da essere considerato “il primo nel cuore dei suoi compatrioti”. Mise in pratica le abitudini che desiderava fossero parte del suo carattere.

È buffo notare che nei discorsi della vita quotidiana si odano spesso frasi come “questo è il mio carattere, non posso cambiare”, “mi comporto così a causa del mio carattere”, “ho un carattere debole”, “ho un carattere introverso”, “in famiglia abbiamo tutti un carattere orgoglioso, è nel nostro DNA quindi non possiamo cambiarlo”.

Per lo psicologo americano John Watson la personalità (spesso usata come sinonimo di carattere) altro non è se non il risultato finale del nostro sistema di abitudini. Ed essendo vissuto tra la fine dell’800 e la metà del ‘900, la sua è un’affermazione di un centinaio di anni fa.

Le 13 virtù di Franklin.

Brian Tracy ci racconta su Benjamin Franklin una storia molto simile a quella di Washington: “Da giovane, Benjamin Franklin era consapevole di essere un po’ rozzo, polemico e di brutte maniere. Si rendeva conto che il suo atteggiamento e il suo comportamento provocavano ostilità nei suoi confronti da parte di compagni e colleghi. Decise di cambiare riscrivendo il copione della propria personalità”.

Pare che Franklin avesse stilato una lista di virtù che pensava dovesse possedere la persona ideale. Mise a punto un metodo di auto-miglioramento personale basato sull’applicazione e lo sviluppo di una virtù alla settimana. Durante quella settimana, quindi, mentre si occupava delle sue faccende quotidiane, ricordava a se stesso di mettere in pratica quella virtù ogni volta che se ne presentasse l’occasione.

Molti di noi, per pigrizia per lo più, sostengono di non avere il tempo per eseguire materialmente ‘certi compiti’. Eppure, più che di compiti si tratta di esperienze, abitudini comportamentali, che non si aggiungono ai nostri doveri quotidiani, ma si integrano con essi e ne modificano lo stile.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel vedere nuove terre, ma nel cambiare occhi”, diceva lo scrittore francese Marcel Proust. Quindi più che un maggior numero di passi da fare nel nostro cammino quotidiano, si tratterebbe di focalizzarci in modo diverso sul come facciamo le cose che già dobbiamo fare, ritenere importanti le nuove abitudini, e metterci il nostro impegno per acquisirle.

Tornando a Franklin, mentre queste abitudini diventavano parte del suo carattere, iniziò a mettere in pratica una virtù per due settimane, poi tre, poi ogni mese. E divenne una delle personalità e uno degli statisti più popolari dell’epoca, tanto da plasmare il corso della storia.

L’assicuratore americano Frank Bettger, scrittore di best-seller sulla vendita etica, conosceva bene il metodo di Franklin, la cui lista di 13 virtù indicò in un suo libro:

1) Temperanza. Non mangiate e non bevete troppo;

2) Silenzio. Parlate solo nell’interesse vostro e altrui. Evitate le chiacchiere inutili;

3) Ordine. Ogni oggetto sia al suo posto e ogni cosa sia fatta al momento giusto;

4) Fermo proposito. Proponetevi di realizzare ciò che dovete e tenete fede al vostro proposito;

5) Frugalità. Non fate spese inutili per voi o per gli altri. Non sperperate;

6) Operosità. Non perdete il tempo in sciocchezze, eliminate ogni azione non necessaria;

7) Sincerità. Non usate sotterfugi nocivi. Parlate ed agite con candore;

8) Equità. Non fate torto ad alcuno con ingiurie o soprusi;

9) Moderazione. Evitate gli eccessi. Più il vostro rancore vi sembra giustificato, più dovete frenarlo; 10) Pulizia. Non tollerate negligenza di sorta, né per il corpo, né per l’abito, né per la vostra dimora;

11) Calma. Non irritatevi per dei nonnulla;

12) Castità. Sacrificate a Venere soltanto a scopo di salute o per procreare. Mai per lussuria o per debolezza, o mettendo a repentaglio la vostra e l’altrui reputazione;

13) Umiltà. Imitate Gesù e Socrate.

Certamente le virtù di Franklin riflettevano i suoi valori e il contesto storico, e valori socialmente desiderabili di quel tempo, alcuni dei quali sono cambiati, come testimonia la lista modificata da Frank Bettger (1891-1981), vissuto quasi duecento anni dopo.

Frank Bettger: un venditore meraviglioso, e morale.

Spesso ci si riferisce ai venditori con connotazione negativa, e ci sono dei pregiudizi che portano a colorare la categoria di attributi manipolatori se non qualche volta addirittura truffaldini, quando in senso lato ogni persona promuove se stessa attraverso il suo lavoro o le relazioni sociali.

Allo stesso modo in cui ci sono persone con valori morali o no, così ci sono venditori corretti (e non ci sono motivi per pensare che non siano la maggior parte) e venditori scorretti.

Frank Bettger ha affascinato il mondo con il suo best-seller e long-seller How I Raised Myself from Failure to Success in Selling (titolo modificato in italiano in Come si diventa un venditore meraviglioso).

Il suo libro entusiasma anche perché in ogni capitolo ha parlato di un problema che ha incontrato nella sua strada e di come l’ha risolto. Egli è stato l’esempio del venditore etico e morale. Per diventare più sicuro di sé, seguì i consigli dei colleghi più esperti e frequentò un corso per conferenzieri.

Qui conobbe Dale Carnegie, che consigliava tra le altre cose di trovare tutte le occasioni possibili per parlare in pubblico, in modo che diventasse un’abitudine e si dominasse la paura iniziale.

Così Bettger decise di fare il catechista, per costringersi a parlare continuamente, in maniera sempre più chiara, davanti a una classe numerosa di ragazzi. Carnegie successivamente lo chiamò per un ciclo di conferenze in cui doveva parlare della formazione morale del venditore.

Bettger ha dimostrato degnamente come un buon venditore possa essere corretto ed etico, considerando che è stato anche uno dei più grandi venditori di tutti i tempi: si parla di quarantamila affari in venticinque anni, una media di cinque contratti chiusi al giorno. Eppure, raccontò Carnegie: “Quando lo conobbi aveva ventinove anni, eppure sembrava un uomo finito”.

Bettger si servì, durante la sua folgorante carriera e crescita personale, del metodo di Franklin, dal quale scelse sei virtù e ne aggiunse altre sette personali, il che testimonia che il metodo si possa adattare ai propri valori. Ecco la sua lista:

1) Entusiasmo;

2) Ordine, organizzazione;

3) Tener conto degli interessi altrui;

4) Domande;

5) Argomento essenziale;

6) Silenzio: ascoltare il cliente;

7) Sincerità: meritatevi la fiducia altrui;

8) Competenza;

9) Apprezzamenti e lodi;

10) Sorriso sulle labbra;

11) Rammentare nomi e fisionomie;

12) Ricerca di nuovi clienti;

13) Conclusione dell’affare: azione.

Dalla lista di virtù ai capitoli ‘di vita’ di Dale Carnegie.

Fin dal 1912 Carnegie teneva corsi di formazione a New York, soprattutto di effective speaking (oggi è più facile sentire parlare di public speaking = parlare in pubblico). Man mano che il numero dei suoi corsisti aumentava, si accorse che “Più che di lezioni di retorica, avevano necessità di imparare l’arte di convivere col prossimo nelle situazioni banali e quotidiane, di imparare ad avere contatti e relazioni sociali. Con altrettanta chiarezza mi resi conto che il primo ad avere bisogno di un corso del genere ero io”.

Egli cominciò con delle conferenze in cui indicava, come già detto, alcune regole utilizzate dai grandi comunicatori e personaggi divenuti famosi e amati per le loro doti relazionali. Inizialmente le ‘regole’ stavano in una cartolina, ma col tempo, lo studio, la ricerca e la pratica nacque nel 1937 il libro How to win friends and influence people (tr. it. Come trattare gli altri e farseli amici), che divenne uno dei best-seller internazionali di tutti i tempi. E tuttora lo si trova facilmente nelle librerie.

Al di là dell’idea che per alcuni può richiamare il titolo, di intenti manipolatori trattando con gli altri, leggendo il libro ci si rende conto che si tratta invece di rivedere le proprie abitudini e il proprio punto di vista confrontandolo con quello altrui, allenando tra le altre cose l’abilità di ascoltare e di arricchirsi in quei confronti.

Nel metodo di Carnegie si usa un capitolo del libro, al posto di una virtù della lista di Franklin, per migliorare le proprie abilità sociali e la propria comunicazione (ogni capitolo contiene comunque un’azione virtuosa o buona abitudine).

Carnegie consigliava di leggere un capitolo del suo libro (egli stesso lo rileggeva periodicamente) velocemente per farsi un’idea, poi lentamente per poter fare riflessioni su come metterlo in pratica, sottolineare le parti che si pensa possano servire di più, metterle in pratica in ogni occasione, e rileggere periodicamente il libro, in quanto, come affermava: “E’ incredibile la rapidità con la quale riusciamo a dimenticare!”.

Il requisito fondamentale, per l’autore, è un autentico desiderio di imparare, una ferma volontà di aumentare al massimo la capacità di trattare con la gente. Egli insisteva che il suo era un libro d’azione. Spesso leggiamo libri interessanti dai quali non ricaviamo cambiamenti tangibili. Quello di Carnegie è invece un libro da riscoprire, commentare, mettere in pratica, da ‘vivere’.

Lo studioso di cibernetica Heinz von Foerster diceva “Se vuoi vedere, impara ad agire”. E quindi l’apprendimento di nuove abilità non si vede dopo aver ‘filosofato’, ma provando e riprovando, e monitorando i propri miglioramenti secondo i propri obiettivi e valori.

Henry Ford disse: “A 20 anni, come a 80, chi cessa di imparare è un vecchio, chi continua ad imparare è giovane”. Molti dei limiti alla nostra possibilità di apprendere sono quelli che ci poniamo noi stessi. E sempre da noi dipende in gran parte la possibilità di abbatterli, pianificando e monitorando le abitudini e i miglioramenti da noi desiderati.

Dott. Giovanni Iacoviello – giovanni.iacoviello@gmail.com

Lavorare sui propri talenti con lo strumento del coaching


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